giovedì 21 gennaio 2010

L'invidia: difficile da riconoscere e da ammettere anche a se stessi

Prima parte dell'articolo pubblicato dalla Dott.ssa Mattozzi sul portale di benessere4u.it



Spesso confusa con la gelosia, l'avidità o con il rancore, l'invidia è una emozione ben precisa, ritenuta ripugnante, inconfessabile e quindi vissuta in solitudine. Nell'immaginario collettivo spesso invidia e gelosia sono considerate come la stessa emozione. Lo psicologo Gerrod Parrot, ricercatore presso l'Università Georgetown a Washington precisa che l'invidia «è la sofferenza per la mancanza di qualcosa che altri hanno (denaro, successo..)», invece la gelosia «è una emozione che si sperimenta all'interno di una relazione intima tra due persone, cioè quando uno teme di perdere una persona cara al confronto con un rivale». Accade però che queste due emozioni si concentrino nella stessa situazione e ciò avviene per esempio quando in una relazione intima si prova gelosia a causa di una terza persona che possiede delle qualità per cui si prova anche invidia!

Chi è l’invidioso?

L'invidioso vede qualcosa di buono e di bello nel prossimo e anziché tentare di seguirne le orme, rimane avvinghiato in un certo fastidio continuo che gli "rode" dentro. Affinché sia riconosciuta come invidia occorre che prevalga l'aggressività distruttiva, dunque non ci si preoccupa più delle proprie capacità, ma del tentativo di danneggiare colui che si invidia. L'invidioso può rivolgere la propria invidia verso oggetti materiali che non si possiedono e che si vorrebbe avere, ma anche verso doti possedute dall'invidiato come per esempio la bellezza, l'intelligenza, il fascino: in certi casi l'invidioso reagisce tentando di disprezzare o di sminuire l'invidiato, perché ai suoi occhi questo è colpevole di evidenziare ciò che l'invidioso non ha, potrebbe sentirsi sminuito dall'esistenza dell'invidiato e danneggiato da questo.



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mercoledì 13 gennaio 2010

Pene d’amore: un dolore per il cervello

Prima parte dell'interessante articolo della Dott.ssa Serafini pubblicato sul portale di b4u.


Un recente studio pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences” ha dimostrato che quando si soffre per amore si attivano, nel cervello, le stesse aree cerebrali coinvolte nelle sensazioni di dolore fisico. E non solo, alcune persone avrebbero una predisposizione genetica a soffrire di più.

La ricerca

In uno studio che ha coinvolto 122 volontari, la psicologa californiana Naomi Eisenberger, attraverso un gioco basato su una simulazione di rifiuto sociale, ha suscitato, nei soggetti, dei vissuti di esclusione con l’obiettivo di innescare una reazione simile a quella provata quando non ci si sente ricambiati nei sentimenti. Successivamente veniva effettuata una risonanza magnetica. Dall’esame risultava che, nella persona respinta, si attivavano delle aree del cervello, in particolare, la corteccia cingolata anteriore e l’insula anteriore sinistra, entrambe coinvolte nella percezione del dolore fisico.

Anche Donatella Marazziti, psichiatra all’Università di Pisa che si occupa dei meccanismi molecolari cerebrali che hanno un ruolo nei sentimenti, ha sottolineato che sia plausibile il fatto che il dolore fisico e psicologico possano attivare lo stesso circuito neurale e, inoltre, in entrambi i casi, il dispiacere rappresenta un segnale di pericolo. Questo fa si che, sia nelle esperienze di dolore fisico, sia nei vissuti di disagio legati a una delusione d’amore, siano stimolati i recettori per gli oppioidi sensibili alle sostanze come la morfina. Da quanto emerge dallo studio, in alcune persone le aree cerebrali coinvolte nella percezione del dolore erano più ampie e questo acuiva la loro sensibilità al rifiuto sociale.



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