giovedì 27 maggio 2010

Anginofobia

Articolo della Dott.ssa Scrocca pubblicato su b4u, il
Social Network su Psicologia, Salute e Benessere.


Anginofobia

Hai il terrore di strozzarti? Di morire soffocato/a mentre mangi? Mastichi, più e più volte, prima di buttare giù il boccone? Selezioni scrupolosamente i cibi? Te ne stai chiuso/a in casa e rinunci alle cene con gli amici?

Non sei folle!!!! soffri di anginofobia … e puoi guarire.

Che cos’è l’anginofobia?

E’ la paura irrazionale, di morire soffocati da qualcosa che vada di traverso, come cibo, pillole e addirittura liquidi e saliva.

La paura non è relativa tanto allo stimolo in sé del deglutire, quanto piuttosto al terrore delle conseguenze date dal farlo.

Target

Colpiti da anginofobia, sono sia bambini che adulti, con maggioranza di questi ultimi. Uomini e donne senza distinzione (sebbene la percentuale delle donne superi quella degli uomini).

I primi sintomi di solito si manifestano nella fanciullezza o nella prima adolescenza e possono manifestarsi in un’età più giovane per le donne rispetto agli uomini.

Come nasce?

Le persone che soffrono di questo disturbo, in genere hanno sperimentato in prima persona brevi esperienze traumatiche di soffocamento durante i pasti o semplicemente è capitato loro di osservare persone esposte al trauma.

o Tale prima esperienza da luogo, come sa bene chi ne soffre, a una complessa sintomatologia post traumatica (ansia, evitamento, incubi notturni in cui la persona rivive il trauma o l’esperienza temuta, depressione, isolamento sociale, perdita di peso, senso d’incapacità).

o Da quel primo episodio fatale, ecco che nella persona, vanno a innescarsi a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, tutta una serie di reazioni e di tentate soluzioni, che anziché alleviare e risolvere il problema, va ad alimentarlo, dando luogo a un circolo vizioso disfunzionale e patologico.

Il quadro sintomatologico si caratterizza per la presenza di:

· Pensiero frequente “ora mi soffoco”. Si è ossessionati da tutto ciò che di più terribile potrebbe succedere durante i pasti.

· Vissuti di ansia anticipatoria e al momento dei pasti. Ansia che spesso evolve in veri e proprie forme di attacchi di panico.

· Comportamenti di evitamento, quali tentate soluzioni.

Evitamento del cibo nemico:

Con le migliori intenzioni la persona, pur di non rinunciare ad alimentarsi, cerca di rendere il momento del pasto il meno sofferente possibile, inizia così a eliminare dalla propria dieta cibi ritenuti pericolosi (carne, salumi, pasta, verdure).

I comportamenti evitanti, sempre presenti nell'anginofobia, impediscono a chi ne soffre di non confermare le proprie ipotesi (se mangio un pezzo di pane, soffocherò, se ingoio una pasticca, soffocherò ecc.) e quindi, permangono nel tempo e a lungo andare contribuiscono non solo a far persistere ma a fare aggravare i sintomi.

In che modo?

La reazione di evitamento, deriva da una credenza disfunzionale del soggetto, in questo caso, la pericolosità che egli attribuisce a uno specifico alimento o a una situazione, per cui:

· Ogni qualvolta che, eviterò di mangiare un cibo perché ritenuto pericoloso, non farò altro che andare ad agire su questa credenza, rendendola vera e rinforzandola.

· Più eviterò di mangiare qualcosa, più confermerò a me stesso la pericolosità del cibo evitato e più avrò la convinzione che quel cibo sia pericoloso e quindi da evitare.

Così facendo aumenteranno le mie paure, la mia ansia e come in un’escalation, andrò a restringere sempre di più la mia alimentazione fino al punto in cui non sarò più in grado di concedermi cibi che prima, pur con tanta sofferenza e difficoltà riuscivo a mangiare.

Ecco che la persona che soffre di anginofobia si ritroverà, pur mosso dalle sue migliori intenzioni, a essere in grado di poter mangiare esclusivamente alimenti ben selezionati e facilmente deglutibili come: omogeneizzati, passati di verdure e liquidi, fino al momento in cui anche il semplice deglutire, acqua e succhi di frutta, diventerà difficile se non impossibile.

Evitamento di situazioni sociali:

L’anginofobia è una vera e propria patologia che va a invalidare il normale svolgimento della vita sociale, relazionale e lavorativa di una persona. I soggetti che ne sono afflitti, vivono un vero e proprio dramma quotidiano, in particolare al momento dei pasti: “Mangiare per la strada, in compagnia di amici o con i colleghi di lavoro durante la pausa pranzo, può diventare un problema serio. Avere l’ansia di avere un bicchiere d’acqua sempre a disposizione e bere frequentemente per deglutire, può essere imbarazzante”.

Come tentata soluzione a questo dramma, la persona inizia a evitare tutte quelle situazioni temute, in quanto possibili fonti di disagio e di ansia.

Tali comportamenti di evitamento procurano, di fatto, un immediato senso di sollievo e di benessere, al quale subentra tuttavia, un forte e costante senso d’incapacità, frustrazione e di umiliazione.

L'effetto dell'evitamento in questo caso è, infatti, quello di confermare la credenza della persona di non essere in grado di affrontare certe situazioni, confermandone dunque la pericolosità e preparando in tal modo, l'evitamento successivo.

Ne consegue un graduale isolamento sociale, che conduce senza via di scampo a forme di depressione gravi.

L’anginofobia frequentemente si associa all’agorafobia, al disturbo ansioso generalizzato, alla fobia sociale, alla depressione o al disturbo oppositivo.

Trattamento

Una volta escluse cause di competenza strettamente medica (in questi soggetti spesso è erroneamente diagnosticata una disfagia, cioè un disturbo della deglutizione o un’iperiflessia faringea) il trattamento di elezione è la psicoterapia.

Un approccio che si è dimostrato valido nel trattamento dell’anginofobia e nelle fobie in generale è la Psicoterapia Breve Strategica.

Tale approccio parte dal presupposto che ciò che determina la costituzione della forte sintomatologia fobica non è l'evento iniziale, ma ciò che il soggetto mette in atto per evitare la paura, ossia le tentate soluzioni escogitate dalla persona nel tentativo di sfuggire allo scatenarsi delle reazioni emotive e somatiche proprie della paura. Questo induce al costituirsi della paura a un livello superiore di gravità.

Per rompere il sistema percettivo-reattivo patogeno, il terapeuta ricorre a suggestivi stratagemmi, costruiti ad hoc, che portano la persona a fare concrete esperienze di superamento del problema senza che questi ne sia consapevole. La consapevolezza

arriverà infatti ad esperienza fatta, quando il soggetto non potrà fare altro che prendere atto

d'aver fatto esattamente ciò che aveva ritenuto impossibile fare fino a quel momento

Considerati i tre livelli della terapia, ossia la strategia utilizzata, l'interazione comunicativa e la relazione paziente-terapeuta, nei pazienti fobici possiamo considerare praticamente irrilevante quest'ultima (decisamente importante in altri tipi di disturbo) sottolineando al contrario quanto sia fondamentale la strategia utilizzata e la modalità comunicativa con cui questa viene espressa.

Ciò di cui hanno bisogno i pazienti fobici, è infatti un "tecnico specializzato" in grado di "cavalcare" la loro paura e che, con manovre velate, indirette e cariche di suggestione, li possa condurre a cambiare senza rendersene conto.

Il primo passo terapeutico è, per questo motivo, quello dell'antica saggezza cinese di "solcare il mare all'insaputa del cielo" (Anonimo, 1990), ossia di spostare l'attenzione del soggetto in maniera tale da portarlo, a sua "insaputa", a superare l'ostacolo vissuto come insormontabile e, di conseguenza, ad aprire la strada a diverse forme di rappresentazione della realtà e a nuove modalità comportamentali.

Con questo tipo di terapia, solitamente lo sblocco avviene già entro le prime cinque sedute. La remissione completa della sintomatologia avviene entro il decimo incontro.

Non si tratta di un percorso semplice: costanza, determinazione e volontà di voler uscire dal problema, sono condizioni irrinunciabili al fine di un esito positivo

Bibliografia:

· Rivista Europea di Terapia Breve Strategica e Sistemica N. 1 - 2004

· Nardone G. “Paura, panico, fobie. la terapia in tempi brevi” Ponte alle Grazie - 2007

venerdì 14 maggio 2010

Contemporanea-mente omosessuali

Articolo a cura della Dott.ssa Lazzari, pubblicato su B4U, network di salute e benessere psicologico



Contemporanea-mente omosessuali

La diversità e le differenze sono parte integranti della nostra quotidianità avvicinandoci o allontanandoci dall'altro. L'omosessualità in particolar modo quella femminile rimane sempre sullo sfondo alimentando stereotipi e fraintendimenti.

Nel 1974 l’America Psychiatric Association, indisse un referendum tra i propri iscritti cercando di comprendere se l’omosessualità, fosse ancora considerata come una malattia mentale. Il 59% degli iscritti votò a favore dell’abolizione portando, quindi per la prima volta, a considerare l’omosessualità come una variante del comportamento umano e non più, come una patologia da curare.

Ancora oggi si trovano molti professionisti che alle richieste allarmate dei genitori, propongono interventi di “correzione” dell’orientamento sessuale con il risultato, spesso, di rinforzare un senso d’estraneità alla propria persona, senso di colpa e di rifiuto, verso se stessi.
Quando si parla d’identità sessuale e di genere solitamente si fa molta confusione e si utilizzano numerosi stereotipi. Per comprenderci, con il termine d’identità di genere ci si riferisce alla percezione che abbiamo di noi stessi definita non solo da come ci sentiamo ma anche dalla presenza di caratteri sessuali definiti. Questo ci porta a definirci come maschi o femmine. In merito all’identità sessuale invece si fa riferimento al così detto gusto sessuale che può essere, ossia orientato verso persone dello stesso sesso, eterosessuale ossia orientato verso persone del sesso opposto o bisessuale, ossia senza una netta differenziazione tra i due sessi. Ormai molti studi hanno dimostrato che c’è un continum tra lo sviluppo dell’identità sessuale così detta normale ossia quella eterosessuale e quella omosessuale poiché l’oggetto del desiderio sessuale è indipendente dall’identità di genere. Dunque il pensare all’omosessualità come un arresto dello sviluppo psichico non sembra essere supportata dalle più recenti ricerche in campo psicologico.
E mentre la comunità gay italiana, decide di dichiarare in modo forte l’inaccettabilità di comportamenti di razzismo, costituendosi parte civile nel procedimento contro gli aggressori della coppia gay, ferita durante l’estate, sembrano ancora presenti necessità ideologiche e morali che giustifichino la diversità delle persone omosessuali. In particolar modo parlare del mondo femminile e della omosessualità femminile, sembra essere ancora piuttosto complicato, difficile da definire. A partire da Freud che considerava come causa dell’omosessualità femminile, un irrisolto passaggio nella fase edipica cosa che, avrebbe destinato la giovane fanciulla a divenire lesbica, molti teorici e approcci, hanno sviluppato tra le loro tecniche, terapie riabilitative. In particolar modo, diversi terapeuti omosessuali anche di formazione psicoanalitica, hanno sentito l’esigenza di organizzare degli interventi in modo tale da rispettare i propri pazienti e allo stesso tempo, la propria identità sessuale. L’integrazione tra esperienze professionali e personali, con la pratica clinica, ricerca e strutture teoriche di riferimento, consentono di esplorare il concetto della sessualità, entrando in punta di piedi nel vissuto della persona, ed iniziare il racconto di sé.
In relazione all’esperienza della pratica clinica, è possibile affermare che l’identità lesbica, è una normale variante della sessualità. Questo significa anche che contrariamente a quanto la cultura spesso ci imponga, non esiste necessariamente un’alterazione dello sviluppo psicologico nelle persone omosessuali sia uomini che donne. Infatti, non esiste sul piano psicologico in termini di sviluppo, alcuna differenziazione tra le caratteristiche di personalità, background familiare, psicopatologie che possano effettivamente determinare una differenziazione tra due donne una eterosessuale ed una omosessuale.
Culturalmente incappiamo spesso in stereotipi che considerano la donna lesbica come mascolina o riluttante al senso comune di femminilità. In realtà molte donne lesbiche così come quelle eterosessuali tengono molto all’aspetto estetico e alla loro femminilità. Piuttosto la difficoltà maggiore non è da riscontrarsi nell’acquisizione di strategie di azione e di comportamento, quanto nella frustrazione spesso molto pesante da sopportare dell’essere considerate come differenti e per questo marginalizzate nel caso in cui decidano di fare caming out ossia di comunicare la propria identità sessuale.
Così come per le donne eterosessuali anche le donne lesbiche presentano differenti sfaccettature nella definizione di loro stesse, in relazione ai propri comportamenti, al ruolo, alle caratteristiche di personalità, alle loro origini e alle proprie esperienze di vita. Ad esempio alcune donne si sono sposate e sono diventate madri per poi scegliere una relazione omosessuale, altre donne invece possono aver vissuto la propria identità sin dalle prime relazioni affettive. Anche gli approcci psicoanalitici più avanzati considerano lo sviluppo omosessuale come un normale sviluppo della identità sessuale.
In particolar modo L. Horowitz descrive una serie di passaggi nello sviluppo dell’identità lesbica.

  1. Una prima fase di scoperta la persona che scopre il proprio interesse per la persona dello stesso sesso si può sentire alienata, sola e stigmatizzata. In molti casi, il tentativo di reprimere i propri sentimenti sembra essere la tecnica migliore lasciando così lo spazio a confusione e sofferenza che si accompagna alla crescente necessità di accettarsi.
  2. Nella seconda fase che l’autrice definisce come fase di esplorazione, la donna sperimenta nuovi comportamenti adattivi e positivi che le consentiranno di entrare nella fase successiva ossia quella della prima relazione.
  3. In seguito la necessità di integrare la propria identità sarà caratterizzato da una fase di complesso sviluppo. Generalmente è in questa fase che le persone omosessuali trovano un riferimento importante in associazioni o militanza politica che consente di viversi liberamente secondo la propria identità.

Non possiamo però certamente pensare che questi passaggi si susseguano facilmente in tutte le donne che riconoscano la propria omosessualità. Infatti, la serenità e la facilità con cui questo avviene, dipende molto dalla relazione con la famiglia di appartenenza, i supporti sociali, la presenza di riferimenti positivi nella vita della persona.
Anche le relazioni interpersonali gratificanti, capaci di dare supporto in caso di necessità e le proprie risorse individuali, sono elementi fondamentali per affermarsi come persona. Soprattutto in quei contesti relazionali in cui non viene percepito il supporto necessario per la propria accettazione, la conquista della consapevolezza della propria identità sessuale, richiede molta energia psicologica ed in questi casi la determinazione con cui si affrontano le proprie scelte sessuali possono determinare non pochi stress che possono determinare un impatto profondo sulla propria personalità.
Le conseguenze quali comportamenti difensivi, modalità relazionali, vulnerabilità, e sindromi sintomatiche, sono da relazionarsi a come la donna si pone nei confronti della propria diversità in relazione agli altri. Ad esempio nella scelta del coming out può presentarsi da un lato un vissuto di liberazione e completa accettazione o dall’altra un effetto drammatico tale da determinare la manifestazione di disfunzioni e sintomatologie.
Le donne devono essere supportate nella narrazione del loro vissuto senza giudizio, alla scoperta della propria identità sessuale, esplorando il significato della loro esistenza e degli eventi che si susseguono in relazione alle proprie scelte.



Bibliografia:

American Psychological Association (1991), Bias in psychotherapy with lesbian and gay man (final report) Washington, DC, APA
Del Favaro R., Palomba M., (1996) Identità diverse, Edizioni Kappa, Roma
Giusti E., Lazzari A., (2005) Narrazione e autosvelamento nella clinica, Sovera edizioni, Roma
Goldstein E.D.; Horowitz L.C., (2003), Lesbian identity and contemporary psychotherapy, The Analytic Press, Inc.
www.ordinepsicologilazio.it rassegna stampa

giovedì 6 maggio 2010

LA SEXUAL ADDICTION: quando il sesso diventa dipendenza!

Articolo della Dott.ssa Sara Eba Di Vaio pubblicato su benessere4u.it . Discutine cliccando qui!

Quasi 4 milioni di italiani sono dipendenti da sesso, gioco e lavoro.
La dipendenza sessuale può essere definita come “una relazione malata con il sesso che ha lo scopo di permettere alla persona di alleviare lo stress, di fuggire dai sentimenti negativi o dolorosi, dalle relazioni intime che non è capace di gestire”. Questa relazione diviene il bisogno fondamentale rispetto al quale tutto il resto viene sacrificato, comprese le persone che vengono considerate solo come oggetti da usare

Quasi 4 milioni di italiani sono dipendenti da sesso, gioco e lavoro. Lo ha dichiarato l'ADUC (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori) sulla base di dati emersi dalla S.I.I.Pa.C, la Società italiana intervento patologie compulsive. Si tratta di vere e proprie dipendenze alla stregua di quelle più classiche da droga e alcol. Vengono definite “nuove dipendenze” e si caratterizzano per essere “dipendenze senza sostanza”.
Il lavoro e il sesso sono quelle più diffuse tra gli italiani. La cosiddetta “sex addiction”sembra essere tipicamente maschile.
In una ricerca effettuata dall’ISP (Istituto per lo studio delle psicoterapie) è emerso che oltre il 6% dei maschi italiani tra i 20 e i 45 anni manifesta i sintomi di una chiara dipendenza sessuale mostrandosi “ossessionato” dall'idea di fare l'amore il più spesso possibile e ricorrendo a tutti i mezzi immaginabili.
L'indagine è stata condotta su un campione di 1.300 uomini, eterosessuali, fra i 20 e i 45 anni, sulla base di un test diagnostico americano che valuta la scala di dipendenza dall'atto sessuale nei maschi.
La dipendenza da sesso si manifesta come un qualsiasi altro comportamento compulsivo che caratterizza le dipendenze: una modifica radicale delle naturali attività che portano gratificazione.
I dipendenti da sesso non sono più capaci di controllare le sensazioni e le attività orientate al sesso, incuranti della propria salute e sicurezza.
Ma poter fare una chiara e corretta distinzione fra una relazione sana e una patologica con il sesso appare ancora oggi molto problematico.

La dipendenza sessuale può essere definita come “una relazione malata con il sesso che ha lo scopo di permettere alla persona di alleviare lo stress, di fuggire dai sentimenti negativi o dolorosi, dalle relazioni intime che non è capace di gestire”. Questa relazione diviene il bisogno fondamentale rispetto al quale tutto il resto viene sacrificato, comprese le persone che vengono considerate solo come oggetti da usare.

La dipendenza da sesso generalmente si manifesta per stadi:

  1. preoccupazione: fantasie continue su prospettive o situazioni a sfondo sessuale
  2. ritualizzazione: una tipologia di attività sessuale o situazione è spesso stereotipata e ripetitiva
  3. compulsione: attività sessuale sfrenata incurante delle conseguenze negative e del desiderio di fermarsi
  4. disperazione: senso di colpa, rimorso, vergogna per l'incapacità di controllare il proprio comportamento
  5. altri problemi comportamentali, spesso legati a dipendenza da sostanze o disturbi dell'alimentazione

Mettendo insieme i contributi di vari autori è possibile delineare una serie di caratteristiche che permettono di avere una panoramica ampia e completa della dipendenza sessuale, primo fra tutti l’aumento, l’estensione e la durata di comportamenti che eccedono ciò che la persona desidera.

  • smodato aumento di tempo speso nella ricerca di esperienze sessuali, nel consumarle o nel riprendersi da esseincremento dell’attività sessuale in quanto l’attuale livello di attività non risulta più sufficiente
  • gravi conseguenze dovute ai comportamenti sessuali
  • incapacità di smettere nonostante le conseguenze
  • crescente desiderio o sforzo di controllare i comportamenti sessuali
  • trascuratezza nei confronti di importanti attività sociali, lavorative

Molti autori sono concordi nel ritenere che la dipendenza da sesso operante lungo tre livelli.
Primo livello: comprende comportamenti considerati come normali, accettabili o tollerabili.

  • masturbazione ossessiva
  • avere più partner
  • avere eccessive fantasie sessuali
  • fare sesso per telefono
  • utilizzare materiale pornografico
  • comportamento sadico o masochistico
  • travestitismo
  • feticismo

Molti dipendenti che si situano a questo livello credono di poter controllare i loro comportamenti e ritengono che non avranno conseguenze nella loro vita. Nonostante ciò possono ugualmente essere devastanti se messi in atto in maniera complusiva

Secondo livello: si estende fino a quei comportamenti che sono chiaramente vittimizzanti e per i quali sono previste sanzioni legali:

  • esibizionismo
  • voyeurismo
  • telefonate indecenti
  • comportamenti indecenti
  • comportamento sessuale in luogo pubblico
  • molestie sessuali es. al posto di lavoro
  • prostituzione
  • necrofilia

Terzo livello: l’elemento in comune ai comportamenti del terzo livello è la violazione di alcuni dei più significativi confini sociali.
 Violenza
 Molestie ai bambini e incesto
 sesso con adulti non coscienti (es. persone sotto droghe o con handicap)
 sesso con pazienti o dipendenti
La presenza di tre livelli non vuol dire che una persona non possa distruggere la propria vita al primo livello. Inoltre è raro che una persona metta in atto comportamenti sessuali compulsivi di un solo tipo.
I soggetti dipendenti da sesso hanno a volte alle spalle storie di abusi subiti in giovane età; i genitori di solito sono essi stessi dipendenti da sesso.
Lo stress gioca il ruolo di importante catalizzatore di comportamenti sessuali compulsivi, alimentando sensazioni di astinenza e fantasie a sfondo sessuale.

Il trattamento della dipendenza da sesso prevede generalmente le seguenti fasi:

  1. presa di coscienza da parte del soggetto di avere perso il controllo in ambito sessuale
  2. impegno all'astinenza sessuale
  3. ricostruzioni delle relazioni umane
  4. gestione dello stress auto aiuto

In ogni caso le finalità principali della terapia mirano a facilitare lo sviluppo di una sana capacità di intimità con se stessi e con gli altri e ad acquisire adeguate abilità di gestione degli eventi problematici che normalmente si presentano nella vita di una persona.

Bibliografia:
AVENIA F., 2009, Manuale sulla sexual addiction. Definizioni, diagnosi, interventi, Franco Angeli, Milano.
CARNES P., 1991, Don’t call it love. Recovery from sexual addiction, Bantam, New York
LAMBIASE E., 2001, La dipendenza sessuale. Modelli clinici e proposte di intervento terapeutico, Las, Roma
www.aduc.it
www.isp.it
www.siipac.it