mercoledì 28 luglio 2010

Lo sviluppo comunicativo-linguistico nei primi anni di vita

Articolo della Dott.ssa Recchia pubblicato su Benessere4u.it, il social network su salute e benessere psicologico.






I bambini imparano a comunicare e a parlare perché sono circondati da mamme, papà, nonni e zii che comunicano e che parlano tra loro e con loro.
Anche se ogni bambino ha i propri tempi e i propri modi di apprendere, esiste un percorso comune con delle tappe ormai ben conosciute dagli studiosi.
L'articolo presentato vuole esporre tale percorso per tutti i genitori che vogliono "saperne di più".

L’apprendimento del linguaggio nei primi anni di vita avviene senza un insegnamento formale, ma solo per esposizione ad un ambiente linguistico. I bambini imparano a comunicare e a parlare perché sono circondati da mamme, papà, nonni e zii che comunicano e che parlano tra loro e con loro.

Anche se ogni bambino ha i propri tempi e i propri modi di apprendere, esiste un percorso comune con delle tappe ormai ben conosciute dagli studiosi.

Di seguito verranno presentate la tappe linguistiche principali per l’apprendimento dell’italiano. La scansione temporale è da intendersi solo come riferimento generale, poiché i tempi di acquisizione variano da bambino a bambino.

5 mesi emergono i primi suoni vocalici, oltre a gridolini e gorgheggi. Appare il sorriso sociale (rivolto al volto umano) e, durante le interazioni quotidiane come la pappa o il cambio, il bambino mostra sempre più interesse e piacere a produrre suoni diversi. Se l’adulto lo imita è già possibile costruire delle micro-conversazioni, che rappresentano la base delle future conversazioni.

6-7mesi il bambino si sintonizza sui suoni tipici delle parole italiane e inizia a produrre sillabe composte da Consonante+Vocale ripetute (lallazione reduplicata): papapa; dada

8-10 mesi le combinazioni di suoni diventano più elaborate, composte da sillabe diverse per consonante e/o vocale (lallazione variata): daba; babu; pada.

A questa età il bambino inizia a comprendere le prime parole che sente più frequentemente, come i nomi delle persone (mamma, papà, nonna, tata) e degli oggetti più usati (biberon, ciuccio, pappa), i versi degli animali. Si volta quando lo chiamate e inizia a comunicarvi le sue richieste, soprattutto attraverso il gesto di indicazione:

RICHIEDE E INDICA > indica il biberon perchè vuole mangiare o lo richiede aprendo la mano

Intorno ai 12 mesi appaiono le prime parole, nelle quali il bambino utilizza le stesse sillabe su cui si è già allenato: pappa; papà; pappe

All’inizio, però, queste prime parole vengono prodotte solo in presenza dell’oggetto/persona che rappresentano o in un certo contesto:

il bambino dirà pappa > quando vedrà il piatto

dirà papà > mentre è in braccio al papà

solo più tardi le parole serviranno per chiedere un oggetto non presente, per chiamare il papà e poi per “parlare” .

In questo periodo il bambino comunica prevalentemente attraverso i gesti:

MOSTRA all’adulto gli oggetti > mostra il cane di peluche perchè vuole condividere l’attenzione su un gioco

DA’ all’adulto gli oggetti con cui gioca (spesso in una sequenza che assume le caratteristiche del gioco “dà - grazie”)

INDICA per richiamare l’attenzione su un evento interessante > indica la finestra perché ha sentito un cane abbaiare

Altri gesti, più evoluti, sono i gesti rappresentativi:

Es. avvicinare la mano all’orecchio » per dire TELEFONO/TELEFONARE

Il bambino usa il gesto con una funzione simile a quelle delle parole, per riferirsi a qualcosa o per rappresentare un’azione:

es. fare ciao >> per salutare

girare il dito sulla guancia >> per dire buono

portare l’indice sulle labbra >> per dire silenzio

Il significato di questi gesti è condiviso dal bambino e i suoi interlocutori e questo permette la comunicazione.

I gesti accompagnano le parole anche in una fase successiva:

A 12 mesi i bambini comunicano prevalentemente con i gesti

A 16 mesi c’è un’equipotenzialità: tanti gesti, quante parole

A 20 mesi diventa predominante la modalità verbale

È molto importante tener conto di questa modalità comunicativa del bambino, interpretando i gesti come veri messaggi. Magari trasformando il loro significato in una modalità verbale:

il bambino indica il biberon, la mamma può rispondere “mi stai dicendo che vuoi la pappa?”

Il periodo tra 12-18 mesi viene chiamata la fase del “lessico emergente”, poiché la crescita del vocabolario risulta ancora lenta: il bambino apprende circa 5 nuove parole al mese. Queste parole, inoltre, possono essere ancora semplificate e spesso comprese solo dai familiari.

La comprensione, invece, procede più velocemente: il bambino capisce un molte delle parole utilizzate nel suo ambiente (prima i nomi, poi aggettivi e verbi) e anche semplici frasi (“non toccare”, “vieni da papà”).

In questa fase, spesso il bambino inizia a mettere insieme una parola ed un gesto come fossero frasi.

Dice Pappa + gesto BUONA (gira il dito sulla guancia)

Dice Baubau + gesto di indicazione

Queste combinazioni CROSSMODALI (perché coinvolgono sia la modalità gestuale che quella verbale) precedono sempre le prime vere frasi di due o più parole. La capacità del bambino di formare frasi dipende, infatti, dalle sue competenze fonologiche e dal numero di parole conosciute. In genere si considera come soglia minima, un vocabolario di circa 100 parole.

Tra i 21 e i 26 mesi (fase dell’esplosione del vocabolario)

il bambino capisce che tutte le cose hanno un nome ed inizia a chiedere frequentemente “come si chiama/cos’è?” . In questo periodo impara a dire fino a 50 nuove parole al mese e inizia a comprendere, ormai, semplici discorsi su ciò che ha fatto ieri (passato) e su ciò che farà domani (futuro).

La costruzione della frase avviene, però, ancora lentamente (le seguenti fasce di età si sovrappongono poiché alcuni modelli di frase possono coesistere nello stesso periodo):

19-26 mesi prevalgono frasi telegrafiche cioè parole singole in successionemancano articoli, preposizioni, pronomi, verbi >“cane bello”, “pappa buona”,

20-29 mesi prevalgono frasi nucleari e complesse incomplete ( mancano ancora articoli, preposizioni) > “dà brumbrum”, “scrivo penna” , “voio acqua”

24-33 mesi le frasi nucleari sono ora complete, quelle ampliate e complesse si vanno completando > “io mangio la pappa”, “do la caramella alla bimba”

27-38 mesi anche le frasi complesse si completano e appaiono e connettivi interfrasali (dopo, perché, invece) > “il bimbo piange perché è caduto”, “mi metto le scarpe e dopo esco”

Rimane grande la variabilità individuale, ma intorno ai 3-4 anni tutti i bambini possiedono la maggior parte delle strutture frasali tipiche dell’italiano e sanno ormai “conversare” con adulti e coetanei, di molti argomenti. La capacità narrativa (raccontare di eventi passati e futuri) si consoliderà negli anni seguenti soprattutto grazie alla scolarizzazione.

Bibliografia

Caselli C., Pasqualetti P. e Stefanini S. (2007). Parole e frasi nel primo vocabolario del bambino. Franco Angeli.

Camaioni L. (2001). Psicologia dello sviluppo del linguaggio. Il Mulino.

Iverson J., Capirci O. e Caselli C. (1994). From communication to language in two modality. Cognitive Development, 1, 23-43.

Recchia M. (2005). La valutazione del primo sviluppo comunicativo-linguistico attraverso la forma breve del questionario “il Primo Vocabolario del bambino”. tesi di laurea non pubblicata.




martedì 13 luglio 2010

Facebook e intimità emotiva...riflessioni

Articolo a cura della Dott.ssa Serreri, pubblicato su b4u, il social network su salute e benessere psicologico.

Facebook e intimità emotiva...riflessioni

Facebook come specchio di una società narcisista o autoreferenziale o spazio comune di libertà di espressione?
Comunicazione reale o comunicazione virtuale? Che peso e che valore dare a questo modo di comunicare?
Vista la diffusione esponenziale è probabile sia capitato un po a tutti di riflettere su come facebook, ma anche altri social network rappresentino una nuova modalità relazionale.
Si partirà dalle motivazioni che spingono all'utilizzo di questo strumento e come questo possa soddisfare il bisogno della costruzione di legami intimi e profondi.

Sapere cosa prova un amico dopo aver passato una giornata non molto positiva, solo tramite la bacheca di facebook. Assistere o partecipare a discussioni su amici “virtuali” che probabilmente non incontreremo mai e con i quali abbiamo ben poco in comune.
Prendersela un po’ con qualcuno, sempre virtualmente, perché è apparso off-line mentre chattavamo o perché non ha commentato un link per noi particolarmente significativo.
Facebook come specchio di una società narcisista o autoreferenziale o spazio comune di libertà di espressione?
Comunicazione reale o comunicazione virtuale? Che peso e che valore dare a questo modo di comunicare?
Vista la diffusione esponenziale è probabile sia capitato un po’ a tutti di riflettere su come facebook, ma anche altri social network rappresentino una nuova modalità relazionale.
Nei vari profili, a volte, vengono scanditi ritmi, azioni, eventi ed emozioni di intere giornate. E' come se ci fosse un continuo desiderio di aggiornare gli altri su ciò che si fa, ciò che si prova. Un continuo bisogno di condividere, che molto spesso, non ha una continuità nel contesto reale.
Ma perché e in che modo facebook influenza o può influenzare le relazioni umane?
Facciamoci prima un’idea delle motivazioni sottese al suo utilizzo.
Da una ricerca condotta su ragazzi inglesi, sono state individuate sei motivazioni rispetto all'uso di facebook:

  • connessione sociale: rintracciare persone che non si vedono da tempo, restare in contatto con amici che abitano molto distanti;
  •  condivisione d'identità: far parte di gruppi che condividano le stesse opinioni, prendere parte o organizzare eventi rispetto ad interessi comuni;
  •  uso delle foto: si segnalano persone presenti all'interno delle foto e si segnalano nuove informazioni;
  •  uso delle applicazioni: attraverso l'uso di giochi o programmi l'utente può scoprire che vengono utilizzate anche da alcuni suoi contatti e quindi avere informazioni su di loro;
  •  investigazione sociale: osservare le attività dei propri amici, anche in modo intrusivo, nonché la possibilità di conoscere altre persone, sulla base di determinati criteri (interessi, amicizie in comune ecc);
  •  navigare tra le reti sociali: esplorare le reti sociali dei propri amici, visualizzando profili anche di persone che non si conoscono direttamente, avendo la possibilità di allargare i propri contatti sociali.
  •  aggiornamento: attraverso alcune funzioni si aggiorna il proprio stato e si visualizzano gli aggiornamenti altrui, per conoscere e farsi conoscere.

Lo scopo principale quindi sembra essere quello della costruzione, sviluppo e controllo della rete sociale. Un modo, insomma per allargare il proprio “giro” di amicizie.
Un altro studio, stavolta statunitense, ha però messo in luce come gli utenti di facebook tendano a sviluppare in misura maggiore legami deboli, utili a condividere interessi e obiettivi, ma raramente caratterizzati da un coinvolgimento emotivo.
Naturalmente, tra i contatti di facebook ci sono anche quelli degli amici più cari, con i quali si condividono momenti reali di vita, ci si sente per telefono, si entra davvero in relazione. Ma gli altri? Che significato gli diamo?
Il minimo, se non inesistente coinvolgimento emotivo, potrebbe farci pensare a quanto facebook non ci aiuti a creare delle vere relazioni, caratterizzate cioè, da intimità e coinvolgimento emotivo.
E ancora di più ci deve fare pensare che la motivazione principale dell'utilizzo di internet sia proprio la ricerca di un'intimità emotiva.
L'intimità viene ricercata in luoghi sbagliati, e attuando comportamenti non esplicitamente diretti a quel fine. Si posta sulle bacheche, si condividono link, si aderisce ad eventi e gruppi, si accettano amicizie da persone mai viste o che si sono incontrate poche volte.
In questo modo il bisogno reale, cioè quello dell'intimità emotiva, non viene mai soddisfatto, e si alimenta in modo esagerato l'esigenza di quel comportamento che da l'illusione di avere contatti emotivamente significativi.
Quindi si continuano ad aggiornare status, bacheca, osservare le proprie reti sociali e altrui cercando di allargarle, senza mai avere la sensazione di essere gratificati. Si ha solo l'illusione di entrare in relazione e di far parte di una rete sociale “solida”. Ma perché lo facciamo? Qual è il reale bisogno che ci spinge a stringere e “coltivare” i contatti?
Sempre in un’ottica di promozione del benessere psicologico sarebbe utile fermarsi e rispondere a queste domande, per capire meglio il nostro comportamento, stare più vicini ai nostri reali bisogni e prevenire il consolidamento di pensieri e comportamenti “disadattivi” che riguardano noi e gli altri.
Pensieri che ci rimandano un'idea di noi non adeguata e che ci fanno pensare al mondo come a qualcosa di troppo difficile e pericoloso, perdendo la fiducia negli altri e nelle relazioni reali, concrete. Potrebbe capitare di pensare a queste cose, per esempio dopo situazioni negative, in cui i pensieri stessi influenzano la nostra lettura della realtà.
Andando a “rifugiarsi” in contesti protetti e controllabili da un punto di vista relazionale, come facebook, la nostra lettura della vita, della realtà esterna, potrebbe rimanere tale, perché, i contatti, le amicizie le gestiamo soltanto e non le VIVIAMO!
Non ci diamo quindi la possibilità di smentire convinzioni errate rispetto al mondo esterno e alle persone che potremo incontrare e vivere “fuori”. Ci accontentiamo dei contatti virtuali e ci illudiamo di poter costruire con loro un legame profondo.

Bibiografia

Joinson, A. N. (2008), “Looking at, looking up or keeping up with people?: Motives and use off Facebook”. In Proceeding of the twenty-sixth annual SIGCHI conference on human factors in computing systems. 5-10 aprile, Firenze.

Ellison N., Steinfield C., Lamps C., (2007) ” The Benefits of Facebook Friends: Social Capital and College Students' Use of Online Social Network Sites

Costanti S. (2008), “Internet quale realtà”.