martedì 30 marzo 2010

La psicoterapia funziona! Meglio degli psicofarmaci.

Articolo della Dott.ssa Ferrara pubblicato su b4u. discutine qui.

Le ricerche scientifiche sottolineano i vantaggi dell'utilizzo della psicoterapia al posto dell'impiego degli psicofarmaci.





LA PSICOTERAPIA FUNZIONA! Meglio degli psicofarmaci.

E’ stato scoperto dalle osservazioni condotte durante la Risonanza Magnetica Funzionale (fRMI), una tecnica di osservazione delle aree del cervello attive in determinate circostanze o attività (leggere, parlare, ascoltare, ricordare, fare sesso, ecc) che la psicoterapia agisce sul cervello modificandolo.

“In base alle osservazioni condotte con la tecnica della Risonanza Magnetica Funzionale (fRMI) è risultato che la psicoterapia può modificare la struttura del cervello. La scoperta è stata presentata durante il " 20° Congresso mondiale di Medicina psicosomatica" tenutosi a settembre 2009 a Torino. Secondo gli esperti, la psicoterapia e' in grado di modificare l'attivazione di aree specifiche cerebrali in modo tale che l'individuo possa gestire meglio emozioni negative quali ansia, panico, depressione, paura.” (da La Stampa del 23/09/2009).

Questa tecnica di indagine (fRMI) ha, quindi, evidenziato che, per esempio, pazienti sofferenti per fobie, ansia o stati depressivi più o meno gravi presentavano, dopo essersi sottoposti per qualche mese ad un ciclo di incontri con uno psicoterapeuta, i livelli di attivazione delle aree cerebrali interessate nel disturbo specifico del tutto vicine alla norma, come se avessero assunto dei farmaci.
Ecco un esempio maggiormente esplicativo: “C’è un uomo che ha paura dei ragni. Ne ha uno davanti. La fotografia del suo cervello mostra che una parte - l’area pre-frontale laterale destra - si attiva, stimolata dalla sua paura. Qualche tempo dopo lo stesso individuo non ha più alcuna reazione. Guarda un ragno, eppure reagisce in modo «normale», come quello di chi non è assalito da impulsi di terrore.” ( da La Stampa del 23/09/2009)
In questo caso specifico è chiaro ed evidente che il cervello della persona si è modificato. Si è modificata, in particolare, la struttura dei neuroni (cioè, la materia di cui il cervello è composto). L’aspetto più interessante e innovativo, però, risiede nel fatto che tutto ciò è accaduto senza intervenire farmacologicamente (come purtroppo molto spesso si fa in Italia), ma solamente grazie alla psicoterapia, grazie, cioè, alla relazione tra un individuo (paziente) e un altro (psicoterapeuta).

La terapia della psiche (della mente o del pensiero, se preferite) è in grado di far cambiare forma ed anche attività al cervello: non solo contrasta ansie e fobie, ma regola anche le risposte agli stress causati dalle malattie. Agisce, infatti, sulle interrelazioni tra gli aspetti biologici (organici) e neuronali (psicologici, se vogliamo) cioè su quelli che in gergo scientifico sono detti circuiti neurobiologici. La psicoterapia “Ha lo stesso effetto dei farmaci anti-paura, insomma”, spiega Secondo Fassino, direttore del Centro universitario per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’ospedale Molinette di Torino che ha ospitato il congresso. ( da La Stampa del 23/09/2009)
Fortunatamente, quello dell’utilizzo della psicoterapia al posto dei farmaci è un procedimento che sta consolidandosi negli anni, nonostante la tendenza diffusissima a ricorrere ai farmaci per molti disturbi o disagi che potrebbero efficacemente essere affrontati con la psicoterapia.

Non è insolito, infatti, che genitori di bambini “irrequieti”, oppure persone con problemi di ansia, fobie, ossessioni, attacchi di panico, depressione, distorsioni dell’umore ecc., si rivolgano preferenzialmente a neurologi, psichiatri o neuropsichiatri per risolvere i propri disagi; e non è insolito, purtroppo, nemmeno il fatto che tali operatori prescrivano farmaci a iosa, con leggerezza e intenzionalità anche quando sanno benissimo che basterebbe un ciclo di psicoterapie o un affiancamento di sedute di psicoterapia alla terapia farmacologica. Certo è che non tutti gli psichiatri, neurologi e medici di base sono così insensibili, purtroppo, però, manca in Italia il pieno sviluppo di quella funzione informativa che essi dovrebbero attuare, manca, cioè la funzione “ponte” tra la medicina e la psicoterapia.

Il fatto ancora più sconcertante, per non dire terrificante, riguarda proprio i bambini, cioè la facilità con cui, anche a loro, oggi vengono somministrati farmaci per problemi e disagi a cui si potrebbe far fronte benissimo con le parole, l’ascolto, con l’educazione, l’amore e regole comportamentali chiare e adeguate.

E’ il caso,per esempio, di bambini che se mostrano frequenti distrazioni in classe o un’eccessiva aggressività con i compagni, oggi, vengono classificati come malati di ADHD, cioè della “sindrome da deficit di attenzione e iperattività”. In pratica, il bambino viene subito considerato un malato mentale, riconducendo ad un deficit fisiologico quello che, spesso, è un problema ambientale o sociale. Ma, l’aspetto peggiore sta negli effetti collaterali e a lungo termine dell’uso di tali farmaci: il Ritalin (della Novartis), per restare nell’ambito dell’esempio dei bambini, fino al 2003 era classificato insieme agli oppiacei, alla cocaina, all’eroina e all’LDS (nella tabella n.7 della Farmacopea), poi, per decreto ministeriale, è passato nella sottotabella IV, dove si trovano le benzodiazepine e gli altri psicofarmaci. Questa decisione non ha nessun fondamento scientifico, né logica di benessere o utilità, in quanto la stessa Novartis mette guardia, nella scheda tecnica del farmaco, circa i rischi dell’uso di tale farmaco. Si legge, infatti, “un uso abusivo può indurre marcata assuefazione e dipendenza psichica con vari gradi di comportamento anormale (…) Si richiede un’attenta sorveglianza anche dopo la sospensione del prodotto poiché si possono rilevare grave depressione e iperattività cronica”. Praticamente, si tratta di un farmaco che provoca effetti molto peggiori di quelli che dovrebbe curare! Anche nella “Guida all’uso dei farmaci” stilata dal Ministero della Salute si parla di effetti collaterali anche peggiori e, nonostante ciò, basta che un bambino sia un po’ negligente, corra, si dimeni sulla sedia, parli troppo, si agiti o ascolti poco che i genitori vengano indirizzati ad una visita specialistica da cui, se il professionista è un sciacallo, può scaturire la prescrizione di un farmaco e non di una psicoterapia.

La psicoterapia, anche in questo caso, è meglio! Per lo meno non ha effetti collaterali.

Pensateci.







Bibliografia e fonti:



Kandel ER. Biology and the future of psychoanalysis: a new intellectual framework for psychiatry revisited. American Journal of Psychiatry, 1999 Apr; 156(4):505-24.


Miniver. Settembre 2006, n.4, pg. 6 “Anti depressivi e suicidi infantili. Quando gli psicofarmaci vengono dati ai bambini”.

Quotitiano:“La Stampa” del 23/09/09

http://www.psicoanalisi.it

mercoledì 10 marzo 2010

Bambini disattenti in classe: aiutare la famiglia e la scuola a gestire l'Attention Deficit Disorder (con e senza iperattività)

Articolo della Dott.ssa Bertelli pubblicato su benessere4u.it

Bambini disattenti in classe:

aiutare la famiglia e la scuola a gestire l’Attention Deficit Disorder (con e senza iperattività)

L’argomento di cui stiamo parlando

La sindrome da deficit dell’attenzione con iperattività, conosciuta con l’acronimo ADHD (dall’inglese Attention Deficit /Hyperactivity Disorder) o DDAI (dall’italiano “Disturbo da Deficit dell’Attenzione con Iperattività”) è un complesso insieme di problemi comportamentali che compromettono in varia misura l’adattamento del bambino/ragazzo all’ambiente, in particolare a quello scolastico.

Come è classificato il problema nei manuali diagnostici?

I due più importanti manuali di riferimento, usati dai clinici per porre una corretta diagnosi, ossia l’americano DSM IV e l’europeo ICD 10, classificano l’ADHD in maniera un po’ diversa tra loro. In entrambi i manuali, comunque, il disturbo è precoce (prima dei 6 – 7 anni), non deve essere transitorio, deve manifestarsi in più contesti (solitamente, a casa e a scuola), deve essere di entità tale da compromettere l’adattamento alla scuola e il funzionamento sociale.

Come si manifesta il problema quando l’iperattività è presente?

La parte più visibile della sindrome, e quindi più facilmente individuabile anche dagli insegnanti, è proprio quella dell’iperattività. Il bambino, già dalla scuola d’infanzia, si comporta in maniera “agitata”, non riesce a focalizzarsi su un’attività (anche di gioco) a lungo, sembra non ascoltare le istruzioni che gli vengono date, corre e si arrampica, non riesce a stare seduto nemmeno dopo numerosi richiami….. tutto questo si manifesta in maniera molto più evidente rispetto ai bambini di pari età.

Quando il problema dell’ADHD si presenta in questo modo, cioè attraverso un’irrequietezza non conforme all’età, è facile che già gli insegnanti della scuola d’infanzia o al massimo della scuola primaria parlino con la famiglia di un problema di adattamento. La famiglia può confermare l’esistenza di difficoltà anche nell’ambito domestico, e accettare di consultare uno specialista dello sviluppo per chiarire il problema e iniziare un percorso di aiuto.

La presenza di impulsività e/o aggressività può compromettere ancora di più la situazione e rendere difficoltosa per la famiglia e la scuola la gestione del bambino.

L’iperattività/impulsività può creare grossi problemi a scuola e a casa ma, essendo facilmente rilevabile, consente almeno un intervento precoce.

Come si presenta il problema quando l’iperattività non è presente?

Il bambino disattento (ma non iperattivo) si può descrivere come un bambino con uno sviluppo cognitivo generale normale, ma con grossi problemi nell’utilizzare la sua intelligenza a causa di un complesso problema di gestione delle sue risorse attentive.

Il bambino potrebbe presentarsi come “svagato”, “svampito” (termini usati talvolta dai genitori per rendere l’idea del comportamento del figlio), sembra non ascoltare quello che gli si dice, non riesce a organizzarsi nelle attività della sua età (perde l’attenzione durante le attività, anche nel gioco; non riesce a organizzarsi nei compiti; dimentica a casa il materiale che gli serve a scuola).

Inoltre esegue i compiti lentamente o troppo in fretta, commettendo molti errori di “distrazione” e raramente porta a termine il lavoro nei tempi stabiliti dalla scuola.

Questi problemi sono presenti in varia misura, a seconda della gravità, ma sempre tali da rendere difficoltosa la carriera scolastica e gli apprendimenti.

Inoltre, sebbene la difficoltà attentiva sia presente anche in età prescolare, il problema potrebbe passare inosservato (o essere compensato da un’intelligenza brillante) fino alla terza/quarta della scuola primaria, quando le richieste scolastiche aumentano in maniera tale che per il bambino diventano insostenibili.

Quali conseguenze ha il problema?

Il bambino/adolescente con ADHD ha problemi di profitto scolastico e di socializzazione. Se è molto iperattivo, l’organizzazione scolastica può essere messa a dura prova e, specialmente se gli insegnanti non hanno ricevuto una formazione specifica su questa problematica, i rapporti scuola - famiglia possono inasprirsi e diventare conflittuali. Infatti il comportamento continuamente irrequieto e/o aggressivo disturba la lezione e la classe; gli insegnanti possono reagire chiamando i genitori, mettendo “note” sul diario, ricorrendo a punizioni….

La famiglia può reagire a sua volta mettendosi sulla linea di difesa e negando il problema, oppure dicendo che sono gli altri bambini che cominciano per primi ad infastidire il figlio o che gli insegnanti lo hanno “preso di mira”. Oppure i genitori, mortificati dai richiami della scuola, mettono il bambino/ragazzo sotto stretto controllo, cercano di farlo studiare di più con il risultato che la tensione familiare aumenta, il conflitto genitori – figli si inasprisce fino al crearsi di momenti di crisi veramente difficili. Il bambino/ragazzo a scuola può essere rifiutato dai compagni (per esempio non viene invitato ai compleanni), il che aumenta il suo senso di inadeguatezza, può provocare rabbia e quindi incrementare l’aggressività.

Secondo la mia esperienza, attualmente è raro trovarsi in situazioni come quelle sopra descritte. La sindrome del deficit attentivo con iperattività è stata infatti l’argomento di molti corsi di formazione per le scuole e le famiglie, svolti sul territorio. La scuola è quasi sempre in grado di mantenere un rapporto di fiducia con i genitori e di orientarli verso uno specialista per iniziare una collaborazione con il fine di aiutare il bambino e la sua famiglia a gestire questo problema dello sviluppo.

Se invece il bambino è solo disattento ma non iperattivo (o solo poco iperattivo), il problema può passare inosservato per un certo periodo di tempo. In primo luogo, la disattenzione ha un impatto meno forte sulla scuola e gli insegnanti possono attribuire la scarsa applicazione allo studio a un problema di svogliatezza, a disinteresse o a qualche problema emotivo. Alla scuola d’infanzia il problema potrebbe non manifestarsi in maniera rilevante. Con il progredire della carriera scolastica, però, le richieste di attenzione prolungata aumentano e il bambino/ragazzo, pur intellettivamente dotato, può andare incontro ad un “patatrac” nel profitto. La discrepanza fra il buon livello cognitivo e la bassa resa scolastica viene in qualche modo percepita da genitori e insegnanti che possono reagire con disappunto o addirittura con rabbia; inoltre la disattenzione può manifestarsi solo in compiti ed attività lunghi e noiosi, ma non essere presente in altre situazioni motivanti. Frasi tipiche che vengono riportate allo specialista: “Eppure se volesse lo potrebbe fare!”, “Gliel’ho detto mille volte, ma non si impegna a fare come gli dico!”, “Si dimentica mezzo corredo scolastico a casa, ma gli spiccioli per le figurine quelli sì che ce l’ha!”.

I casi di disattenzione senza iperattività, che secondo la mia esperienza vengono descritti meno in dettaglio nei corsi di aggiornamento per le scuole, giungono spesso tardivamente all’osservazione dello psicologo, quando la carriera scolastica è compromessa, il clima familiare è tesissimo, il bambino/ragazzo è deluso e rinuncia ad impegnarsi di più, possono essersi sviluppati disturbi d’ansia e dell’umore, oltre a chiusura e ritiro sociale.

Cosa può fare lo psicologo

E’ compito di un professionista (psicologo o neuropsichiatria) porre una corretta diagnosi, impostare e supervisionare il trattamento, collaborando anche con altri professionisti della riabilitazione. E’ fondamentale la collaborazione fra gli specialisti, la famiglia e la scuola.

La diagnosi passa attraverso una serie di check - list comportamentali già validate e/o interviste strutturate con gli insegnanti e i genitori. Inoltre lo psicologo può effettuare (previo accordo con tutti gli adulti coinvolti nel problema) un’osservazione in classe per osservare il comportamento del bambino/ragazzo nel suo ambiente, verificare quali possono essere le situazioni più critiche e quali tentativi sono stati fatti per migliorarle.

Può completare la sua osservazione con la somministrazione di reattivi per la misurazione dell’intelligenza, della memoria di lavoro, delle componenti dell’attenzione e di quanto altro ritenga utile alla conoscenza del singolo caso.

In seguito può svolgere una serie di sedute con i genitori (da soli o con altre famiglie nella stessa situazione) con l’obiettivo di informarli sul problema e orientarli alla miglior gestione del figlio, anche al fine di ridurre le tensioni familiari che possono crearsi. Questo tipo di percorso è conosciuto sotto il nome di Parent Training.

Inoltre può orientare gli insegnanti nella gestione del bambino/ragazzo disattento/iperattivo all’interno della classe, può aiutarli a sperimentare strategie nuove di intervento sui comportamenti problematici e a trovare tecniche psicoeducative per ridurre i comportamenti indesiderati e aumentare quelli adeguati.

Con il bambino lo psicologo può svolgere attività ludiche volte al sostegno dell’attenzione nelle sue varie forme e verificarne l’efficacia; con i più grandicelli può programmare un trattamento volto all’insegnamento di strategie per fronteggiare l’impulsività e di modi funzionali per gestire le risorse attentive.

Per rendere l’informazione più completa va detto che oggi in Italia sono disponibili farmaci per il trattamento dell’ADHD. L’intervento farmacologico è di esclusiva competenza del medico specialista, che deve valutare l’opportunità di proporre il farmaco dopo aver preso in considerazione una serie di fattori. Attualmente l’uso del trattamento farmacologico è oggetto di un vasto dibattito sociale.

Bibliografia

(Quasi tutti i testi riportati sono di facile reperibilità, ma va ribadito che la diagnosi e il trattamento dell’ADHD richiedono le competenze di uno psicologo o di un neuropsichiatria)

Cornoldi C., Gardinale M., Masi A., Pettenò L. Impulsività e Autocontrollo, Trento, Erickson 1996

Fedeli D. Kiwi, Firenze, Giunti O.S. 2007

Vio C, Marzocchi G.M. Il bambino con Deficit di Attenzione/ Iperattività, Trento, Erickson 1999

Chiarenza G.A, Bianchi E., Marzocchi G.M., Linee guida del trattamento cognitivo – comportamentale dei Disturbi da Deficit con Attenzione con Iperattività (ADHD), approvate dalla SINPIA, 2002

Conferenza Nazionale di Consenso. Indicazioni e strategie terapeutiche per i bambini e gli adolescenti con disturbo da deficit attentivo e iperattività, Cagliari 2003